Cronache Lombarde – 55° Giorno (ex-isolamento)

4 05 2020

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“Col tesoro dissanguato, lo Stato aumenta le tasse. Beni e risorse svaniscono, e il paese è alla fame. I contadini perdono i sette decimi dei guadagni, e il governo i sei decimi degli introiti.” Sun Tzu – L’Arte della Guerra

English version

Oggi, 4 maggio, inizia ufficialmente la “Fase 2” e con essa un relativo allentamento dell’isolamento cui siamo stati sottoposti negli ultimi  55 giorni.

Quanto è cambiato lo scenario rispetto al momento in cui ci siamo rinchiusi in casa?

Il 9 marzo 2020, eravamo entrati in quarantena con 4.490 casi positivi “attivi”, oggi usciamo di casa con 36.926 casi ancora attivi (il totale dei casi è stato ad oggi di 77.528, la differenza è spiegata dai dimessi e dai decessi).

Dei 77.528 casi positivi “ufficiali” finora registrati, quelli che possono dire di “essersela cavata”  è poco più di un terzo, pari a 26.371 soggetti dichiarati guariti.

Il prezzo pagato alla epidemia è stato di almeno 14.231 morti, pari al 18,4% del totale dei casi. Ieri ancora abbiamo dovuto subire “l’aggiustamento” dei 280 nuovi casi di decessi riferiti all’intero mese di aprile, relativo ai decessi avvenuti in casa e sino a ieri, mai calcolati finora nelle statistiche. In pratica 258 decessi in media al giorno, mentre all’inizio ne avevamo registrati dal 24 febbraio, “solo” 333 (e senza considerare i numerosissimi decessi che prima o poi verranno attribuiti al covid-19)

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Per quasi la metà (48%) dei 77.528 la partita non è ancora chiusa, e c’è chi sta ancora lottando  a casa (29.785) , chi in ospedale (7.141) e chi in terapia intensiva (532) mentre il 9 marzo avevamo 3.242 pazienti ricoverati, di cui 440 in terapia intensiva (il picco era stato raggiunto il 6 aprile con 1.343 ricoveri in terapia intensiva).

Mentre la curva delle ospedalizzazioni sta lentamente calando, il ritmo di crescita dei nuovi casi positivi in isolamento domiciliare continua a crescere.

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Questi numeri ci devono fare comprendere che non abbiamo vinto alcuna guerra, ma che abbiamo, inevitabilmente, deciso la sortita dalla roccaforte, perchè l’assedio cominciava a minare il morale delle truppe e, soprattutto, la capacità di resistenza cominciava a vacillare soprattutto in termini economici.

Quindi adesso affrontiamo il nemico virus in “campo aperto” e la domanda è se siamo  adeguatamente equipaggiati.

In termini di capacità ospedaliera, e specialmente di terapie intensive, esiste chiaramente una riserva di circa 900 posti, che non ci si augura di dover utilizzare ma che abbiamo imparato, a nostre spese, essere “l’ultima linea di difesa”-

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Va necessariamente notato che la “Fase 2”  non è una vera e propria riapertura, ma una “libertà vigilata” e condizionata ad una serie di vincoli importanti, che condurranno molte aziende a preferire il proseguimento dello “smart working” (almeno quelle la cui attività è trasferibile “online”) piuttosto che imporre al proprio personale l’assunzione di rischi non necessari.

Le condizioni che sono state stabilite per continuare a beneficiare di questo allentamento sono tuttavia molto rigide e descritte, nell’oramai famoso DPCM del 24 aprile 2020:DPCM_20200426-1

In particolare, ci viene spiegato che le condizioni da soddisfare per evitare il ritorno al “lockdown” sono che :

        1. Capacità di monitoraggio epidemiologico.
        2. Stabilità di trasmissione.
        3. Servizi sanitari non sovraccarichi.
        4. Attività di readiness.
        5. Abilità di testare tempestivamente tutti i casi sospetti.
        6. Possibilità di garantire adeguate risorse per contact-tracing., isolamento e quarantena.

Più in particolare ci viene spiegato che, sarà necessario che almeno il 60% dei seguenti “kpi” mostri un trend di miglioramento, sennò… si torna a casa.

  1. Numero di casi sintomatici notificati per mese.
  2. Numero di casi notificati per mese con storia di ricovero in ospedale (in reparti diversi dalla terapia intensiva -TI) 
  3. Numero dei casi notificati per mese con storia di trasferimento/ricovero in reparto di terapia intensiva (TI) 
  4. Numero di casi notificati per mese in cui è riportato il comune di domicilio e di residenza

Da quel poco che ci è dato capire è che quindi è il comune di residenza ad essere l’unità di monitoraggio e, all’interno di esso, i soliti parametri noti, ovvero, i casi totali, quelli ospedalizzati e le terapie intensive.

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Quando siamo entrati in isolamento i casi ufficiali “attivi” erano meno di 5.000, mentre domani “usciamo” con 35.000 casi ancora potenzialmente infettivi e nulla sappiamo dei famosi “asintomatici” il cui numero (stima) ci verrà rivelato dalla prossima indagine sui 150.000 italiani di cui però non avremo contezza prima di un mese.

Cosa abbiamo imparato in questi due mesi?

Abbiamo appreso che mai , come in questo caso,  sono più le cose che non sappiamo di quelle che conosciamo.

Non conosciamo la data di quando un vaccino sarà disponibile, come non conosciamo finora, alcuna terapia realmente efficace.

Ugualmente non conosciamo il reale numero dei contagiati ed anche le apparenti crude certezze, come i decessi, ci serbano amare sorprese.

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Insomma, la scienza, non riesce a darci “inconfutabili certezze” (caro il nostro ministro Boccia) ma solo probabilità ed ipotesi. Viviamo in un mondo di probabilità.

Qualche certezza c’è, in verità. Una di queste è rappresentata dal crollo del prodotto interno lordo che sarà accompagnato tra non molto, anche da quello dell’occupazione.

Sappiamo ugualmente, che senza lavoro e remunerazione non c’è futuro per molti e quindi se escludiamo i 16 milioni di pensionati, che in qualche modo, nelle diverse ristrettezze non vedono modificata la loro posizione economica,  (e lo stesso potrebbe dirsi per i 3 milioni di dipendenti pubblici)  per gli altri 40 milioni di italiani lo scenario che rischia di aprirsi riserva rischi non inferiori a quelli dell’epidemia.

“Primum vivere, deinde philosophari”. Occorre quindi affrontare il nemico a viso aperto (magari con una mascherina) e cominciare ad elaborare nuove strategie di confronto.

Esiste un alea di rischio in ogni attività umana.

Se al soldato che va in guerra, si dovesse garantire la sicurezza al 100% (come al poliziotto che ci protegge, o al pompiere) non avremmo nè soldati, né poliziotti e nemmeno pompieri.

Stiamo iniziando una navigazione in acque incognite, e dobbiamo accettare che il il mondo al 90% che ci è stato raccontato dall’Economist rappresenta realmente una sfida che non potrà essere affrontata con i medesimi strumenti e con le certezze di due mesi fa. 20200502_FBC955

In questo nuovo mondo di incertezze che ci attende, dovremo acquisire la progressiva consapevolezza che sarà necessario convivere con un più elevato livello di rischio.

Questo è un messaggio che può apparire complesso o addirittura inaccettabile per molti politici, ma che sarebbe invece necessario veicolare con chiarezza e con fermezza.

Occorre un approccio diverso e più proattivo al tracciamento ed isolamento del virus, per permettere una convivenza “dinamica” con lo stesso.

Noi, nel nostro piccolo progetto  #tamponailvirus, abbiamo (e stiamo tuttora) cercato di dare il nostro contributo in questa direzione e restiamo convinti che la direzione dei test rapidi qualitativi immunologici sia, ad oggi e nell’attesa di nuovi test rapidi come quelli molecolari basati sulla saliva,  la sola strada che permetta, su grandi volumi, in modo economico e distribuito anche a livello della cittadinanza,  di  riattivare i processi economici ma anche le semplici relazioni fra le persone in ogni comunità.

All’inizio di questo progetto, avevamo scontato lo scetticismo di molti.

Il tempo invece ci ha dato ragione ed i test rapidi stanno invece diventando il solo possibile strumento per una efficace ed efficiente azione di analisi sul territorio, come ad esempio stamattina a Napoli all’arrivo del treno da Milano che trasportava “i figli del sud” di rientro dal nord, dopo due mesi di involontaria cattività.

Il progetto #tamponailvirus continuerà ancora, almeno finchè  si realizzerà il suo secondo obiettivo (mentre il primo è già stato realizzato, attraverso il finanziamento della attività di sperimentazione di un protocollo sanitario  in due grandi ospedali del nostro paese e di cui vi racconteremo presto.)

Il secondo obiettivo sarà la diffusione di un protocollo medico medico-legale “standard” da mettere gratuitamente a disposizione delle aziende per riavviare la produzione in sicurezza, ed anche di questo vi racconteremo presto.

Con questa Cronaca, invece, fermiamo la parte “statistica” del progetto, nella speranza che i numeri del virus diventino in futuro sempre meno importanti.

Abbiamo ancora molta strada da fare e fra tanta incertezza, almeno una cosa è sicura: da oggi si ricomincia a correre (in tutti i sensi).

E se aveste voglia di aiutarci sostenete il progetto #tamponailvirus!

La donazione può essere effettuata a mezzo bonifico o con carta di credito, riportando la causale: Donazione liberale #tamponailvirus ed è regolarmente deducibile essendo offerta attraverso la ONLUS Fondazione Italia il Dono

Ringraziamo tutti coloro che vorranno sostenere la nostra iniziativa!

 

 





Cronache Lombarde – 47° giorno (ex-isolamento)

25 04 2020

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“Hope is not a strategy” – Vince Lombardi

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Oggi, 25 aprile,  in Italia celebriamo il 75° anniversario della Liberazione dal nazi-fascismo e questa data assume per noi un ulteriore e particolare significato.

L’essere stati costretti alla “cattività domestica”  per un mese e mezzo, sia pure per un più elevato bene generale, ci fa comprendere ed apprezzare l’importanza dell’idea stessa di libertà ma soprattutto dell’importanza e della necessità di un severo controllo democratico sulla “delega” data a terzi su decisioni che impattano le libertà di ciascuno.

Che il SARS-COV-2 fosse una bestia sconosciuta è un fatto, mentre che una pandemia potesse colpire e mettere in grave crisi l’economia di ciascun paese e del mondo intero era invece un fatto ben noto.

Il COVID-19 è stato (ed è ) un vero “stress test” per i sistemi sociali che ha impattato ed i differenti costi sociali che stiamo registrando fra i paesi non fanno altro che misurare la differente efficienza dei diversi sistemi in termini di difesa delle proprie comunità.

Una società è una struttura  complessa costituita da componenti singole o collettive organizzate attraverso diversi tipi di relazioni socio-economiche che vengono governate tramite un sistema di regole (formali ed informali) e lo scambio reciproco di utilità.

Un virus pandemico, non fa altro che disgregare questo tessuto, e tanto più il tessuto attaccato dal virus è già disorganico e disfunzionale, tanto maggiore sarà la “disruption” che ne deriverà.

Sarebbe necessario capitalizzare l’esperienze che stiamo accumulando in queste settimane per trarne la necessaria lezione e soprattutto una approfondita riflessione sulla qualità dei diversi sistemi e sulla necessità di riformarli.

L’agente patogeno è stato lo stesso in tutto il mondo, i danni che ha procurato estremamente diversi.

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Nella sua brutale semplicità l’indice di mortalità ci vede nella parte alta della classifica mondiale, con una mortalità che supera anche quella di paesi come la Svezia, che non hanno, deliberatamente, adottato alcuna politica di “lockdown”.

Uno dei fatti noti sin dall’inizio è stato la grande selettività del virus che, come ci ricorda l’Istituto Superiore di Sanità : “L’età media dei pazienti deceduti e positivi a SARS-CoV-2 è 79 anni . Le donne sono 8500 (36,7%). L’età mediana dei pazienti deceduti positivi a SARS-CoV-2 è più alta di oltre 15 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno contratto l’infezione (età mediane: pazienti deceduti 81 anni – pazienti con infezione 62 anni)”.

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Oltre alla “selettività generazionale”, sicuramente i prossimi anni ci offriranno approfondimenti scientifici sull’analisi delle differenze, nel frattempo, però, cominciano già ad emergere ulteriori elementi di riflessione che, oltre alle riviste scientifiche, sicuramente impegneranno anche le aule giudiziarie.

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Mortality associated with COVID-19 outbreaks in care homes: early international evidence

La grave sottovalutazione della epidemia nelle strutture delle case di riposo è stata senz’altro, al di là dei casi mediatici della fase iniziale (il maratoneta di Codogno, che generò la “caccia al runner” in tutto il paese, e senza alcun risparmi di risorse pubbliche), il vero “spartiacque” tra i paesi che hanno saputo gestire e gli altri.

Nel nostro paese almeno il 40% dei decessi è attribuibile a decessi avvenuti nelle case di riposo (RSA) (fonte ISS: “Survey nazionale sul contagio COVID-19 nelle strutture
residenziali e sociosanitarie”) dato che per la Lombardia sale al 53%.

Nel prepararci alla “Fase 2” dovremmo apprendere dall’esperienza e soprattutto fare tesoro di quelle positive degli altri, per non ripetere tragicamente errori che potrebbero essere evitabilissimi.

Purtroppo raramente la storia è maestra di vita, come sembra confermarci l’ineffabile assessore Gallera “Delibera Rsa? La rifarei, obiettivo era salvare vite” circa la tragica delibera regionale che deliberò di inviare dagli ospedali alle RSA i cosiddetti pazienti “non gravi” con i risultati che oggi conosciamo e di cui adesso, ad occuparsene saranno non più i medici, ma i magistrati.

Ugualmente nota è l’importanza della politica di test, quale strumento per identificare tempestivamente i focolai, prima che si diffondano in modo irreparabile e lasciando, quale sola opzione percorribile, quella del confinamento.

Ma anche su quella, purtroppo, dobbiamo registrare un avanzamento disordinato delle varie regioni italiane, con un continuo “stop and go” e la mancanza di chiare indicazioni.

Si continua ad oscillare tra la borbonica volontà di “normare tutto”, decidendo cosa sia giusto o sbagliato per i cittadini (come anche la decisione, assunta da diverse regioni, di interdire l’acquisto di test ad uso personale, ma credo che anche di questo dovranno prima o poi occuparsi i magistrati) e la più frequente decisione di non decidere nulla.

TESTARE:  tanto, tutti e frequentemente, sarà la chiave di volta per una “Fase 2 in sicurezza” e non c’è alcun dubbio che questa possibilità debba essere lasciata anche ai privati cittadini e non solo alle istituzioni pubbliche o private.

L’imperativa necessità di una ripresa dell’attività produttiva DEVE combinarsi con la possibilità data ad una platea la più estesa possibile, di testarsi, con frequenza, contro il SARS-COV-2. Gli strumenti esistono, l’informazione deve essere trasparente e chiara, ma la possibilità deve lasciata alla libera determinazione di ciascuno.

In questa confusione, tipicamente italiana, si intravedono i primi contraddittori  provvedimenti come quello della Regione Emilia Romagna, che vietando da un lato i privati cittadini:

“...di procedere alla effettuazione di test sierologici rapidi su privati cittadini, nonché alla commercializzazione dei medesimi per autodiagnosi, al di fuori del percorso di screening regionale, atteso il rischio che la inidonea validazione dei test, la incompletezza dei percorsi diagnostici realizzati, la mancata informazione circa il significato dei risultati dei test medesimi

(sic!) mentre dall’altro delibera;

di demandare alle Aziende ed Enti del SSR il compito di definire le modalità di  somministrazione e distribuzione del test sierologico rapido, avendo particolare cura che la somministrazione avvenga secondo modalità idonee ad evitare rischi di contagio e particolare riguardo alle strutture socio-sanitarie

In sostanza, reputando sempre il cittadino-suddito incapace di comprendere “il significato dei risultati dei test medesimi” dall’altra ammette l’incapacità del pubblico ad erogare un’attività di screening massiccio e la demanda alle aziende private, senza però mai rinunciare ad una “potestas” autorizzativa :

“di valutare eventuali proposte di realizzazione di percorsi da parte di soggetti datoriali che garantiscano la completa informazione ai dipendenti sul significato dei risultati
tramite i medici competenti”

e :

“di prevedere che, in deroga al divieto di cui al punto 3, singoli laboratori autorizzati all’esercizio possano fare istanza di autorizzazione all’effettuazione di test sierologici nell’ambito dei percorsi di cui al punto 4 indirizzandola alla Direzione Generale Cura della persona Salute e Welfare completa degli elementi atti a valutare le caratteristiche dei test eseguiti, che verranno valutate dal Prof. Vittorio Sambri, e il rispetto dei principi di cui al punto 4 in merito alle modalità di somministrazione del test in condizioni tali da non costituire occasione o rischio di contagio”

Dunque grande è la confusione sotto il sole alla vigilia del tanto auspicato inizio della “Fase 2”,  senza che delle chiare linee guida siano state identificate e con il consueto spettacolo rappresentato dall’avanzare, confuso e disordinato, delle Regioni e dello Stato centrale, senza un briciolo di coordinamento, ma anzi, in palese e rumorosa  concorrenza, lasciando in noi, testimoni passivi, l’impressione che l’epidemia sia stata più un’opportunità di passerella politica anzichè di vero servizio alla cittadinanza.

In tutto questo come stanno le cose in Lombardia alla vigilia della Fase 2? 

La situazione lombarda migliora, anche se lentamente :

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La crescita del numero di test (tamponi che, ricordiamo, sono il vero collo di bottiglia del processo, essendo costosi, limitati e dando risultati disponibili con un ritardo medio di 5 giorni) genera un flusso quasi costante di un migliaio di casi al giorno (ieri 1.091).

Da un lato, appare è chiaro come la “qualità” di questi nuovi casi è diversa da quella del passato.

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Si noti infatti come il rapporto fra i decessi giornalieri ed il numero dei nuovi positivi sia in calo costante dal 31 marzo.  Anche lo “stock” di attualmente positivi misurato produce meno decessi, nonostante non si riduca (in apparenza):

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Se questi “nuovi positivi” generano meno decessi di quelli del passato, il virus è quindi diventato “meno letale” ?  No, semplicemente stiamo cominciando a “fotografare” con i test una porzione più grande della montagna e con essa, si comincia a stabilire quella verità che solo i prossimi test sierologici “a tappeto” stabilirà (e sono pronto a scommettere che scopriremo delle realtà molto, ma molto più estese di quanto si possa oggi solamente immaginare).

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Quindi, nell’attesa di stabilire uno straccio di verità attraverso i  prossimi risultati degli annunciati campionamenti, concentriamoci sui dati “duri” che mostrano tutti segnali di vera regressione.

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Il minor afflusso verso la terapia intensiva genera meno decessi e potremmo arrivare a quote molto basse (nell’ordine di qualche decina) nell’arco di 8/10 giorni.

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I saldi sono ormai sistematicamente negativi, con gli ospedalizzati che sono finalmente in decisa riduzione, anche se il numero dei “ricoveri domiciliari” non accenna a decrescere (derivata della maggiore politica di testing).

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Certo, ci sarebbe da sperare che questa massa di 35.000 ancora positivi (totale fra domiciliari, ICU ed ospedali, e sono solo quelli “ufficiali”)  possa non contagiare nessun altro, ma su questo non possiamo fare altro che essere genuinamente fatalisti…

Quindi, cosa ci serve per gestire con efficacia la Fase 2 in Lombardia (come altrove)?

Le “best practise” non mancano. Proviamo ad elencarle:

  1. Disponibilità di strutture sanitarie di emergenza (Terapia intensiva)
  2. Testing diffuso e ripetuto e protocolli sanitari estesi (settimanale)
  3. Informazione su casi positivi in tempo reale (app)
  4. Distanziamento sociale “smart” (fasce orarie, smart working)
  5. Dispositivi di sicurezza diffusi (mascherine, sanificazione, guanti, …)
  6. Protezione dei segmenti deboli (RSA, e se non over 60 almeno over 70)

in teoria ci sarebbe quasi tutto,  ma quello che soprattutto ci appare essere necessario è una chiara ed autorevole leadership.

E anche per oggi è tutto.

Nel frattempo, ancora per un po’ #stiamoacasa e #teniamoduro !

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Ringraziamo tutti coloro che vorranno sostenere la nostra iniziativa!

p.s. dell’estero non parliamo perchè c’è l’ottimo sito della John Hopkins University  che assieme al ottimo Worldometers  forniscono un’informazione affidabile ed in tempo reale.

Le fonti odierne:

 

 

 

 

 

 





Cronache Lombarde – 40°Giorno (ex-isolamento)

19 04 2020

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“Volendo abbattere il nemico, dobbiamo commisurare il nostro sforzo alla sua capacità di resistenza; questa si esprime mediante un prodotto i cui fattori inseparabili sono: la grandezza dei mezzi disponibili e la forza della volontà.“ — Carl von Clausewitz 

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In questi giorni, la produzione delle cronache è rallentata per alcune, e spero buone, ragioni.

La prima ragione è legata alla decisione di orientare gli sforzi, in questo periodo di “cattività domestica” verso una missione più costruttiva che non la semplice raffigurazione dei numeri (tenuto anche conto, delle tante incertezze che li accompagnano) ed in particolare, lavorare al progetto #tamponailvirus, di cui vi racconterò fra poco dei progressi.

La seconda ragione, è stata invece legata al deciso cambio di scenario che avevamo cominciato a leggere nelle cifre e sulla necessità di lasciare che il consolidamento dei dati che oggi leggiamo, offrisse qualche maggiore chiarezza di lettura, anche sono molti gli interrogativi senza adeguata risposta.

Man mano che trascorrono i giorni, il volume dei dati  e le analisi a disposizione permettono una  lettura migliore del fenomeno epidemico e ci permettono di cominciare a trarre due valutazioni, una buona ed una cattiva.

Cominciamo da quella buona.

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Sin dall’inizio di questa epidemia, il “key performance indicator principe” (kpi) è stato l’andamento di saturazione, ma dovremmo meglio dire sovrasaturazione, della disponibilità di posti di terapia intensiva.

Appare evidente che abbiamo lasciato il picco alle nostre spalle agli inizi del mese e che, con 947 ricoveri attuali,  ci ritroviamo al livello del 18 marzo, ovvero a circa una settimana dall’inizio del “lockdown” (ricordiamo che la disponibilità massima iniziale era di 900 posti letto che poi sono stati portati a circa 1.400 senza contare i 400 che sarebbero dovuti essere disponibili nel famoso e mai pienamente operativo ospedale della ex-fiera di Milano  e realizzato grazie ai 21 milioni donati da 1.200 benefattori.

Analogo andamento è quello generale dei ricoveri ospedalieri.

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Mentre le ICU sono decresciute con maggiore gradualità, i ricoveri hanno intrapreso una dinamica decrescente decisa negli ultimi tre giorni.

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Si è infatti passati da alcune decine di dimissioni ospedaliere al giorno ad alcune centinaia, mentre cresce, senza soluzione di continuità, il numero dei “ricoveri domiciliari” che rende la massa degli “attualmente positivi” apparentemente ancora in crescita:

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Che però il numero dei positivi sia realmente in crescita, ci permettiamo di dubitarlo, preferendo una diversa spiegazione, che abbiamo già tentato alcuni giorni fa.

Stimando, in modo retroattivo, e sulla base dei decessi e dei casi gravi (unici dati ragionevolmente oggettivi) il volume dei contagiati la fotografia che ne otterremmo è la seguente:

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Molto più simile (e plausibile) di quella registrata attraverso la ondivaga politica dei test che negli ultimi giorni ha visto, di nuovo, un deciso incremento.

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Il numero dei nuovi positivi, quindi, continua a mostrarsi superiore al migliaio di casi al giorno, con flessioni che sono più espressione delle variazioni nel numero dei test che non della dinamica epidemica.

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Quindi, se a parità di volume di positivi, decrescono i ricoveri, fa apparire del tutto evidente che sia cambiata la “qualità” dei casi positivi che vengono quotidianamente identificati.

Che significa “cambio della qualità”?

Significa che 1.000 casi nuovi di una settimana fa erano probabilmente 1.000 casi critici, mentre i 1.000 casi nuovi di oggi, sono critici solo al 50% (o forse anche meno).

Analogamente anche i decessi registrano una dinamica simile a quella della terapia intensiva:

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Lasciandoci supporre di trovarci quindi ad un paio di settimane dal momento in cui potremmo registrare un livello di decessi prossimo nell’ordine di qualche decina di casi e sempre più vicino allo zero.

Il confronto internazionale, vede davvero poche novità.

Infatti, se da un lato registriamo la chiara convergenza del panel europeo (FR, DE, UK, ES) attorno alla dinamica dei casi italiani, (il grafico rapporta il numero dei casi cumulato di ciascun paese a quelli italiani dal momento in cui sono stati superati i 150 casi).

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Convergenza visibile anche nel confronto con gli USA, ottenuto aggregando i dati dei 5 paesi europei (omogeneizzati per data di inizio del contagio)

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Dall’altro dobbiamo continuare a constatare la diversità dell’efficacia delle azioni messe in pratica per contenere il numero di perdite umane.

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Con la Germania che si sta rivelando, tra le democrazie occidentali,  il vero “campione” nella gestione dell’epidemia, riuscendo a gestire l’epidemia, attraverso una perfetta disciplina sociale, il limitato ricorso al lockdown, e la prosecuzione dell’attività produttiva. (In modo aneddotico, segnaliamo che il dato cinese è stato “corretto” con ulteriori 1.260 casi a posteriori, che porta la letalità in Cina quasi al 6%).

La buona notizia è allora che possiamo dire che il peggio è alle nostre spalle, mentre la cattiva notizia è che, cominciano ad essere disponibili i primi bilanci sulle diverse capacità di reazione e soprattutto di gestione mostrate dai diversi paesi. E noi non ne usciamo bene.

Il Deep Knowledge Group ha sviluppato un ‘interessante analisi, confrontando i diversi paesi sulla base di una serie di 72 parametri:

Fai clic per accedere a ranking-framework-and-methodology.pdf

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Ed il risultato dell’analisi ha espresso il seguente  ranking, che vede sostanzialmente confermate, in un modo più articolato e ragionato, le constatazioni finora fatte:

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“Premiando” il nostro paese come il più “rischioso” al mondo (seguiti da  USA UK, Spagna e Francia).

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Invece, che ci piaccia o meno, i paesi più sicuri ad oggi appaiono essere i soliti “noti” (Israele, Germania, Sud Corea..).

Abbiamo più volte messo in evidenza la necessità di un approccio più sistemico e più selettivo alla gestione della pandemia.

Se analizziamo i paesi oggetto dell’analisi del DKG, troviamo una serie di fattori comuni.

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Soprattutto, quello che si comprende, è che la migliore risposta alla pandemia è sistemica, ovvero data dal risultato del gioco di squadra di tutti i fattori rilevanti (rapidità, flusso di informazioni, infrastrutture, efficienza del sistema statale, monitoraggio e testing)  e non può, in nessun caso, dipendere da una singola persona o un singolo parametro.

La riflessione sulla “Exit Strategy – Fase 2”, è oramai avviata, ma è assolutamente necessario comprendere che, anche se il prossimo test sierologico in programma su un campione di  150.000 italiani mostrerà la vera estensione dell’epidemia la stragrande maggioranza della popolazione risulterà ancora potenzialmente esposta all’infezione.

Occorre, con immediatezza, fare tesoro delle  “best practise” dei paesi che hanno dimostrato migliori capacità e replicarle, al meglio, in Italia.

Nei grandi match di calcio, abbiamo sempre decantato la superiorità dei “fantasisti” italiani in confronto con il “gioco di squadra e la preparazione atletica” dei team tedeschi.

Temo che un’epidemia non sia una partita di calcio e per dirla con Sir Winston Churchill ” Gli  italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio” ma qui non stiamo giocando.

Nel frattempo, ancora per un po’ #stiamoacasa e #teniamoduro !

E se aveste voglia di aiutarci :  https://dona.perildono.it/tamponailvirus/

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Le fonti odierne:

 





Cronache Lombarde – 36° giorno (ex-isolamento)

15 04 2020

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“Ignoranti quem portum petat nullus suus ventus est.” (Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuol approdare” – Lucio Anneo Seneca)

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Nella mia vita, il mio percorso professionale (e umano) si è sviluppato partendo dal nostro paese, e progressivamente spostandosi ben al di là delle Alpi.

Da questo “Grand Tour” professionale,  durato oltre trent’anni ho molto imparato.

Uno dei primi insegnamenti che ho appreso, è stata “l’arte della pianificazione” e provenendo da un paese che non pianifica quasi nulla, è anche stata una delle lezioni più difficili da imparare.

Quando lavoravo con i francesi, l’orizzonte temporale dei piani strategici era di 6 anni, mentre con i tedeschi dovetti apprendere a spingermi oltre i dieci anni.

Agli inizi non fu affatto facile, ma alla fine,  appresi  che un piano strategico non è un esercizio divinatorio sul futuro ma è semplicemente l’espressione razionale e ponderata attraverso la valutazione degli scenari più probabili (negativi o positivi), di un obiettivo che ci si propone di raggiungere nel lungo termine.

E’ in fondo, un po’ come dire, cosa vogliamo diventare da grandi, e poi, con grande disciplina e focus, cercare davvero di farlo.

Quello che ritengo distingua quindi certi popoli da altri è la “disciplina sociale” con cui perseguono i propri obiettivi.

Che il mondo potesse essere colpito da una pandemia, (e che ci si sia trovati parecchio vicino a rischi pandemici diverse volte nella storia) è un fatto.

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Ugualmente esplicita, appare la constatazione del diverso grado di preparazione che stanno mostrando i diversi paesi per affrontare queste crisi.

In questi giorni molto si parla del disastro delle RSA (residenze per gli anziani) e qualche “Cronaca” fa ne avevo parlato anch’io nell’analisi delle differenze dei casi fra Italia e Germania rilevando come la Germania, appare essere l’unico paese europeo che stia gestendo al meglio la crisi epidemica, limitando le politiche di confinamento e, nello stesso tempo, anche i decessi.

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In particolare, osservavo come (anche sulla base di esperienze personali) la gestione del residenza per anziani (Seniorenhaus) in quel paese mi apparisse particolarmente efficace.

A suffragare l’ipotesi sono intervenuti una serie di studi che confermano come l’impreparazione o peggio, improvvisazione abbia giocato un ruolo determinante, purtroppo misurabile in vite umane perse. In particolare questo nuovo studio : ““Mortality associated with COVID-19 outbreaks in care homes: early international evidence” pubblicato lo scorso 12 aprile anche dalla London School of Economics e svolto, attraverso il contributo di ricerche statistiche su 5 paesi europei (Italia, Belgio, UK, Francia e Spagna) giunge alle seguenti conclusioni:

Key findings:

  • I dati di 3 studi epidemiologici negli Stati Uniti mostrano che ben la metà delle persone con infezioni da COVID-19 nelle case di cura erano asintomatiche (o presintomatiche) al momento del test.
  • I dati provenienti da 5 paesi europei suggeriscono che i residenti in case di riposo hanno finora rappresentato tra il 42% e il 57% di tutti i decessi legati al COVID-19.

In particolare per l’Italia:

  • Estrapolando questo tasso di mortalità al numero totale di residenti in case di riposo in Italia (circa 297.158), suggerirebbe che circa 9.509 decessi di residenti in case di riposo sono legati al COVID-19. Ciò rappresenterebbe il 53% del totale dei 18.000 decessi in Italia al 9 aprile.

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Anche se il problema, appare aver riguardato altri paesi oltre il nostro, la constatazione che si sia affrontata l’emergenza in modo largamente non professionale è schiacciante.

In particolare, un’indagine svolta su 2.500 strutture, dell’Istituto Superiore di Sanità e pubblicata lo scorso 12 aprile : “Survey sul contagio da COVID-19 nelle RSA” documenta che tra il 1° febbraio 2020 ed il 24 marzo 2020 (le interviste sono state svolte tra il 24 marzo ed il 7 aprile) il 48,5% degli ospiti delle residenze era affetto da sintomatologia influenzale.

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I tamponi sono stati eseguiti solo in una minima parte dei casi (133 su 3859 decessi) ma il 37.4% dei decessi sono attribuibili alla Sintomatologia COVID-19.

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Inoltre la percentuale sale al 53% ove si consideri che oltre il 60% dei decessi è avvenuto tra il 1 ed il 24 marzo.

E’ anche utile analizzare il secondo documento, parte della stessa inchiesta “ Report on COVID-19 and Long-Term Care in Italy: lessons learned from an absent crisis management” che ci ricorda che:

“Lo scoppio dell’epidemia COVID-19 in Italia ha tragicamente aperto il vaso di Pandora sullo stato del settore delle cure di lunga durata (Long Term Care – LTC). L’Italia è stata uno dei Paesi più colpiti al mondo, come testimoniano i numeri dei decessi confermati e dei casi positivi. In questa situazione di emergenza, il modello demografico italiano appariva già particolarmente critico: il 23% dell’intera popolazione ha più di 65 anni (Istat, 2019) – la percentuale più alta d’Europa – il che significa che quasi un quarto dell’intera popolazione del Paese è attualmente la più fragile ed esposta alla letalità del virus”.

Il report ha identificato tre “Issues” problematiche come sistema di cause del “disastro RSA”:

  • Issue n. 1: Carenza nelle linee guida per la gestione della crisi per il settore LTC
  • Issue n.2: Ritardo nella fornitura di dispositivi di protezione individuale (DPI) ai medici e agli operatori sanitari nelle case di cura
  • Issue n.3: Mancati controlli (testing) sulla diffusione del COVID-19 nelle case di cura

Sempre l’Istituto Superiore di Sanità ci informa, nell’ultima edizione della analisi delle “Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italiache l’età media dei pazienti deceduti e positivi all’infezione da SARS-CoV-2 è 79 anni . Le donne sono 6339 (34,0%). L’età mediana dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 è più alta di oltre 15 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno contratto l’infezione (età mediane: pazienti deceduti 80 anni – pazienti con infezione 62 anni): 

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Appare quindi confermato, con estrema crudezza, che una buona parte del mondo “industrializzato” abbia drammaticamente sottovalutato quella che pure era una evidente caratteristica della epidemia, ovvero la sua particolare letalità per le classi di età maschili oltre i 70 anni con almeno una patologia e che si sia fatto, troppo poco e troppo tardi, per mettere questi segmenti della popolazione al riparo. 

Qualunque riflessione sulla “Exit Strategy – Fase 2”, dovrà assolutamente partire dal fornire un’adeguata risposta alla questione della protezione degli anziani oltre i 70 anni e che  significherà dare una risposta al 84% del problema COVID-19 (e se poi includiamo i sessantenni, risolviamo il 95% del problema).

E anche per oggi è tutto.

Nel frattempo, ancora per un po’ #stiamoacasa e #teniamoduro !

E se aveste voglia di aiutarci :  https://dona.perildono.it/tamponailvirus/

La donazione può essere effettuata a mezzo bonifico o con carta di credito, riportando la causale: Donazione liberale #tamponailvirus  ed è regolarmente deducibile essendo offerta attraverso la ONLUS Fondazione Italia il Dono

Ringraziamo tutti coloro che vorranno sostenere la nostra iniziativa!

Le fonti di oggi:

Fai clic per accedere a sars-cov-2-survey-rsa-rapporto-2.pdf

Fai clic per accedere a Report-COVID-2019_13_aprile.pdf

 

Fai clic per accedere a Infografica_13aprile%20ITA.pdf

 

 





Cronache Lombarde – 34° Giorno (ex-isolamento)

13 04 2020

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“La verità nella scienza può essere definita come l’ipotesi di lavoro più adatta ad aprire la strada alla successiva” (Konrad Lorenz)

English version here

Nella anticipazione di ieri, abbiamo proposto questo grafico, che abbiamo molto utilizzato negli scorsi giorni:

1

Il grafico rappresenta l’andamento dei “nuovi positivi” (da distinguersi dal “netto positivi” che esclude dai “nuovi positivi” i guariti ed i decessi della stessa giornata) a confronto con i decessi registrati ìin pari data.

Per una migliore lettura, il grafico e su doppia scala, a sinistra i positivi ed a destra i decessi.

La peculiarità di questo grafico, era che avevamo presto notato come ai picchi dei “nuovi positivi” corrispondessero anche i picchi dei “decessi”. Dato effettivamente non congruente (come se il decesso intervenisse istantaneamente al momento della emersione del caso).

Con il tempo, abbiamo appreso invece che esiste un ritardo temporale fra la produzione del risultato del test e la sua ufficializzazione (circa 4 giorni).

Ugualmente, abbiamo appreso da questo studio dell’Istituto Superiore di Sanità che il tempo  mediano (cioè quello che divide i casi in due esatte metà) tra ospedalizzazione e decesso è di circa 4 giorni (ed 8 giorni dall’insorgenza dei sintomi):

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Infine abbiamo anche osservato come  dei 57.562 casi finora rilevati siano stati complessivamente ospedalizzati 48.534 pazienti (il 70,5%):

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A questo punto, l’interpretazione del grafico di prima, che vi riporto qui per comodità di lettura è assai semplice.

1I “nuovi casi” che vengono quotidianamente letti sono relativi (per il 70%) alle ammissioni ospedaliere di 4 giorni prima, cui segue, nel 26% dei casi, la maggioranza dei decessi.

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Tuttavia, qualcosa è cambiato. Le due linee (quella dei decessi e quella dei nuovi casi) non procedono più appaiate ma si sono “dissociate” l’una dall’altra ed in un modo positivo. Ovvero, alla nuova crescita dei casi non corrisponde più una nuova crescita dei decessi. 

Cosa è successo? 

Ho letto di molte ipotesi, come ci sia adesso una migliore cura dei pazienti, dovuta alla maggiore disponibilità di posti di terapia intensiva, oppure anche minore letalità del virus, se non addirittura l’arrivo di nuove terapie mediche, certamente ipotesi tutte plausibili.

Io invece ritengo che il consueto rasoio di Occam ci suggerisca una diversa analisi, che provo qui ad esporre.

Diversi studi (come sempre in fondo, nella sezione “fonti”) ci documentano che il ricorso all’ospedalizzazione negli USA  riguardi circa il  4,6 persone ogni 100.000 abitanti,  mentre la malattia sembra colpire 169.3 persone  ogni 100.000 (5,7 in Cina, 258 in Italia). Quindi l’ospedalizzazione dovrebbe riguardare il 2,71% dei casi (e non il 70%).

Ugualmente, altri studi certificano la presenza di un numero di asintomatici valutabile tra il 46% ed i 62%.

Su queste basi, e senza alcuna pretesa di scientificità, ho azzardato il mio modellino di diffusione del contagio:

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Dove sostanzialmente il numero dei contagiati è calcolato retroattivamente (8 giorni), partendo dai decessi (media mobile a due giorni) registrati (aumentati dello scostamento documentato dall’ISTAT che certificano essere il 63% superiori)  ed in funzione della letalità registrata nei paesi con un numero di casi superiori a 2.000.

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In sostanza, il grafico mostra che avremmo sottostimato la diffusione del contagio fino a 25 volte la sua reale entità. Si noti che il grafico stima il numero di “attualmente positivi”  che scende per il semplice fatto che nel frattempo, la stragrande maggioranza (circa il 95%) guarisce.

Si tratta di un puro esercizio matematico, ma che ben spiega il rallentamento dei decessi (che non sarebbe invece più spiegabile attraverso il numero dei nuovi positivi rilevati, la cui crescita adesso è puramente attribuibile alla crescita del numero di test) e che mostra che siamo nella “coda” del processo epidemico della prima ondata (prima, eh sì, perchè dovremo prepararci alle successive).

Abbiamo quindi ragioni per essere felici come il periodo pasquale ci suggerirebbe?

Mettiamola così. Il ragionamento che mi sembra “filare” è che il problema era molto più grosso di quanto immaginassimo (si veda la chiara intervista del prof. Massimo Galli)  e che il “lockdown” sta funzionando.

Cosa dobbiamo aspettarci? Dobbiamo attenderci un continuo calo dei decessi (ma non necessariamente dei “Positivi rilevati” che  continueranno a fotografare una porzione del totale) e soprattutto dei ricoveri.

Ed infine, per usare le parole del professor Galli, cominciare a pensare (in fretta che non c’è tempo!) alla Fase 2.

Perchè anche un’economia che soffre si traduce in danno per le persone.

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Il grafico sopra, mostra il calo nei consumi di potenza in Italia nel 2020 rispetto al 2019.

Abbiamo una Task Force guidata da un manager d’eccezione, sperando che, con il tempo, si veda affidato anche qualche altro potere oltre quello di proposta.

(Oggi di internazionale non parliamo, perchè c’è davvero poco da raccontare di più di quanto non si abbia già raccontato ieri) .

Nel frattempo, come sempre, ed ancora per un po’ #stiamoacasa e #teniamoduro !

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Le fonti di oggi: