Cronache Lombarde – 47° giorno (ex-isolamento)

25 04 2020

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“Hope is not a strategy” – Vince Lombardi

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Oggi, 25 aprile,  in Italia celebriamo il 75° anniversario della Liberazione dal nazi-fascismo e questa data assume per noi un ulteriore e particolare significato.

L’essere stati costretti alla “cattività domestica”  per un mese e mezzo, sia pure per un più elevato bene generale, ci fa comprendere ed apprezzare l’importanza dell’idea stessa di libertà ma soprattutto dell’importanza e della necessità di un severo controllo democratico sulla “delega” data a terzi su decisioni che impattano le libertà di ciascuno.

Che il SARS-COV-2 fosse una bestia sconosciuta è un fatto, mentre che una pandemia potesse colpire e mettere in grave crisi l’economia di ciascun paese e del mondo intero era invece un fatto ben noto.

Il COVID-19 è stato (ed è ) un vero “stress test” per i sistemi sociali che ha impattato ed i differenti costi sociali che stiamo registrando fra i paesi non fanno altro che misurare la differente efficienza dei diversi sistemi in termini di difesa delle proprie comunità.

Una società è una struttura  complessa costituita da componenti singole o collettive organizzate attraverso diversi tipi di relazioni socio-economiche che vengono governate tramite un sistema di regole (formali ed informali) e lo scambio reciproco di utilità.

Un virus pandemico, non fa altro che disgregare questo tessuto, e tanto più il tessuto attaccato dal virus è già disorganico e disfunzionale, tanto maggiore sarà la “disruption” che ne deriverà.

Sarebbe necessario capitalizzare l’esperienze che stiamo accumulando in queste settimane per trarne la necessaria lezione e soprattutto una approfondita riflessione sulla qualità dei diversi sistemi e sulla necessità di riformarli.

L’agente patogeno è stato lo stesso in tutto il mondo, i danni che ha procurato estremamente diversi.

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Nella sua brutale semplicità l’indice di mortalità ci vede nella parte alta della classifica mondiale, con una mortalità che supera anche quella di paesi come la Svezia, che non hanno, deliberatamente, adottato alcuna politica di “lockdown”.

Uno dei fatti noti sin dall’inizio è stato la grande selettività del virus che, come ci ricorda l’Istituto Superiore di Sanità : “L’età media dei pazienti deceduti e positivi a SARS-CoV-2 è 79 anni . Le donne sono 8500 (36,7%). L’età mediana dei pazienti deceduti positivi a SARS-CoV-2 è più alta di oltre 15 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno contratto l’infezione (età mediane: pazienti deceduti 81 anni – pazienti con infezione 62 anni)”.

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Oltre alla “selettività generazionale”, sicuramente i prossimi anni ci offriranno approfondimenti scientifici sull’analisi delle differenze, nel frattempo, però, cominciano già ad emergere ulteriori elementi di riflessione che, oltre alle riviste scientifiche, sicuramente impegneranno anche le aule giudiziarie.

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Mortality associated with COVID-19 outbreaks in care homes: early international evidence

La grave sottovalutazione della epidemia nelle strutture delle case di riposo è stata senz’altro, al di là dei casi mediatici della fase iniziale (il maratoneta di Codogno, che generò la “caccia al runner” in tutto il paese, e senza alcun risparmi di risorse pubbliche), il vero “spartiacque” tra i paesi che hanno saputo gestire e gli altri.

Nel nostro paese almeno il 40% dei decessi è attribuibile a decessi avvenuti nelle case di riposo (RSA) (fonte ISS: “Survey nazionale sul contagio COVID-19 nelle strutture
residenziali e sociosanitarie”) dato che per la Lombardia sale al 53%.

Nel prepararci alla “Fase 2” dovremmo apprendere dall’esperienza e soprattutto fare tesoro di quelle positive degli altri, per non ripetere tragicamente errori che potrebbero essere evitabilissimi.

Purtroppo raramente la storia è maestra di vita, come sembra confermarci l’ineffabile assessore Gallera “Delibera Rsa? La rifarei, obiettivo era salvare vite” circa la tragica delibera regionale che deliberò di inviare dagli ospedali alle RSA i cosiddetti pazienti “non gravi” con i risultati che oggi conosciamo e di cui adesso, ad occuparsene saranno non più i medici, ma i magistrati.

Ugualmente nota è l’importanza della politica di test, quale strumento per identificare tempestivamente i focolai, prima che si diffondano in modo irreparabile e lasciando, quale sola opzione percorribile, quella del confinamento.

Ma anche su quella, purtroppo, dobbiamo registrare un avanzamento disordinato delle varie regioni italiane, con un continuo “stop and go” e la mancanza di chiare indicazioni.

Si continua ad oscillare tra la borbonica volontà di “normare tutto”, decidendo cosa sia giusto o sbagliato per i cittadini (come anche la decisione, assunta da diverse regioni, di interdire l’acquisto di test ad uso personale, ma credo che anche di questo dovranno prima o poi occuparsi i magistrati) e la più frequente decisione di non decidere nulla.

TESTARE:  tanto, tutti e frequentemente, sarà la chiave di volta per una “Fase 2 in sicurezza” e non c’è alcun dubbio che questa possibilità debba essere lasciata anche ai privati cittadini e non solo alle istituzioni pubbliche o private.

L’imperativa necessità di una ripresa dell’attività produttiva DEVE combinarsi con la possibilità data ad una platea la più estesa possibile, di testarsi, con frequenza, contro il SARS-COV-2. Gli strumenti esistono, l’informazione deve essere trasparente e chiara, ma la possibilità deve lasciata alla libera determinazione di ciascuno.

In questa confusione, tipicamente italiana, si intravedono i primi contraddittori  provvedimenti come quello della Regione Emilia Romagna, che vietando da un lato i privati cittadini:

“...di procedere alla effettuazione di test sierologici rapidi su privati cittadini, nonché alla commercializzazione dei medesimi per autodiagnosi, al di fuori del percorso di screening regionale, atteso il rischio che la inidonea validazione dei test, la incompletezza dei percorsi diagnostici realizzati, la mancata informazione circa il significato dei risultati dei test medesimi

(sic!) mentre dall’altro delibera;

di demandare alle Aziende ed Enti del SSR il compito di definire le modalità di  somministrazione e distribuzione del test sierologico rapido, avendo particolare cura che la somministrazione avvenga secondo modalità idonee ad evitare rischi di contagio e particolare riguardo alle strutture socio-sanitarie

In sostanza, reputando sempre il cittadino-suddito incapace di comprendere “il significato dei risultati dei test medesimi” dall’altra ammette l’incapacità del pubblico ad erogare un’attività di screening massiccio e la demanda alle aziende private, senza però mai rinunciare ad una “potestas” autorizzativa :

“di valutare eventuali proposte di realizzazione di percorsi da parte di soggetti datoriali che garantiscano la completa informazione ai dipendenti sul significato dei risultati
tramite i medici competenti”

e :

“di prevedere che, in deroga al divieto di cui al punto 3, singoli laboratori autorizzati all’esercizio possano fare istanza di autorizzazione all’effettuazione di test sierologici nell’ambito dei percorsi di cui al punto 4 indirizzandola alla Direzione Generale Cura della persona Salute e Welfare completa degli elementi atti a valutare le caratteristiche dei test eseguiti, che verranno valutate dal Prof. Vittorio Sambri, e il rispetto dei principi di cui al punto 4 in merito alle modalità di somministrazione del test in condizioni tali da non costituire occasione o rischio di contagio”

Dunque grande è la confusione sotto il sole alla vigilia del tanto auspicato inizio della “Fase 2”,  senza che delle chiare linee guida siano state identificate e con il consueto spettacolo rappresentato dall’avanzare, confuso e disordinato, delle Regioni e dello Stato centrale, senza un briciolo di coordinamento, ma anzi, in palese e rumorosa  concorrenza, lasciando in noi, testimoni passivi, l’impressione che l’epidemia sia stata più un’opportunità di passerella politica anzichè di vero servizio alla cittadinanza.

In tutto questo come stanno le cose in Lombardia alla vigilia della Fase 2? 

La situazione lombarda migliora, anche se lentamente :

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La crescita del numero di test (tamponi che, ricordiamo, sono il vero collo di bottiglia del processo, essendo costosi, limitati e dando risultati disponibili con un ritardo medio di 5 giorni) genera un flusso quasi costante di un migliaio di casi al giorno (ieri 1.091).

Da un lato, appare è chiaro come la “qualità” di questi nuovi casi è diversa da quella del passato.

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Si noti infatti come il rapporto fra i decessi giornalieri ed il numero dei nuovi positivi sia in calo costante dal 31 marzo.  Anche lo “stock” di attualmente positivi misurato produce meno decessi, nonostante non si riduca (in apparenza):

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Se questi “nuovi positivi” generano meno decessi di quelli del passato, il virus è quindi diventato “meno letale” ?  No, semplicemente stiamo cominciando a “fotografare” con i test una porzione più grande della montagna e con essa, si comincia a stabilire quella verità che solo i prossimi test sierologici “a tappeto” stabilirà (e sono pronto a scommettere che scopriremo delle realtà molto, ma molto più estese di quanto si possa oggi solamente immaginare).

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Quindi, nell’attesa di stabilire uno straccio di verità attraverso i  prossimi risultati degli annunciati campionamenti, concentriamoci sui dati “duri” che mostrano tutti segnali di vera regressione.

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Il minor afflusso verso la terapia intensiva genera meno decessi e potremmo arrivare a quote molto basse (nell’ordine di qualche decina) nell’arco di 8/10 giorni.

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I saldi sono ormai sistematicamente negativi, con gli ospedalizzati che sono finalmente in decisa riduzione, anche se il numero dei “ricoveri domiciliari” non accenna a decrescere (derivata della maggiore politica di testing).

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Certo, ci sarebbe da sperare che questa massa di 35.000 ancora positivi (totale fra domiciliari, ICU ed ospedali, e sono solo quelli “ufficiali”)  possa non contagiare nessun altro, ma su questo non possiamo fare altro che essere genuinamente fatalisti…

Quindi, cosa ci serve per gestire con efficacia la Fase 2 in Lombardia (come altrove)?

Le “best practise” non mancano. Proviamo ad elencarle:

  1. Disponibilità di strutture sanitarie di emergenza (Terapia intensiva)
  2. Testing diffuso e ripetuto e protocolli sanitari estesi (settimanale)
  3. Informazione su casi positivi in tempo reale (app)
  4. Distanziamento sociale “smart” (fasce orarie, smart working)
  5. Dispositivi di sicurezza diffusi (mascherine, sanificazione, guanti, …)
  6. Protezione dei segmenti deboli (RSA, e se non over 60 almeno over 70)

in teoria ci sarebbe quasi tutto,  ma quello che soprattutto ci appare essere necessario è una chiara ed autorevole leadership.

E anche per oggi è tutto.

Nel frattempo, ancora per un po’ #stiamoacasa e #teniamoduro !

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Ringraziamo tutti coloro che vorranno sostenere la nostra iniziativa!

p.s. dell’estero non parliamo perchè c’è l’ottimo sito della John Hopkins University  che assieme al ottimo Worldometers  forniscono un’informazione affidabile ed in tempo reale.

Le fonti odierne:

 

 

 

 

 

 


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